Il judo conobbe una straordinaria diffusione in Giappone, tanto che non esisteva una sola città che non avesse almeno un dojo. Parallelamente si diffuse nel resto del mondo grazie a coloro che avevano modo di entrare in contatto col Giappone; furono principalmente commercianti e militari che lo appresero, importandolo poi nel loro paese d'origine. Non meno importante fu la venuta in Europa intorno al 1915 di importanti maestri giapponesi, allievi diretti di Jigoro Kano, che diedero ulteriore impulso allo sviluppo del judo, tra cui Gunji Koizumi in Inghilterra nel 1920 e Mikonosuke Kawaishi in Francia.

Negli Stati Uniti per diffondere il metodo Kano, dal 1902 al 1907 soggiornò il grande Yoshiaki Yamashita (nel 1935 ottenne il 10° dan, il grado più elevato), che ebbe tra i suoi allievi il presidente Roosevelt.

 

A cavallo della Grande Guerra la lotta giapponese ebbe un discreto sviluppo in occidente. Risale comunque al 1918 l’avvenimento più importante, ossia la costituzione del Budokwai per opera di Gunji Koizumi. La palestra londinese assunse in breve il ruolo di guida del judo europeo, grazie anche all’apprezzamento di Kano, che la visitò nel 1920.

 

I contatti tra i marinai italiani e quelli nipponici, favorirono la diffusione delle tecniche di jujitsu anche tra i nostri soldati, incuriositi e affascinati dal modo particolare di combattere all'arma bianca o a mani nude.

 

L'Italia ottenne una concessione a Tientsin, allargando così i propri interessi in Estremo Oriente. Gli entusiastici commenti di civili e militari sulle virtù della lotta giapponese, soprattutto in vista di un suo impiego bellico, convinsero il Ministro della Marina Carlo Mirabello a organizzare un corso sperimentale; ordinò quindi al capitano di vascello Carlo Maria Novellis di assumere un istruttore di jujitsu a bordo dell'incrociatore Marco Polo, che stazionava nelle acque della Cina.

 

Dopo molte ricerche Novellis trovò a Shanghai un insegnante che godeva la fiducia del console giapponese. Il 24 luglio 1906 venne pertanto stipulato un contratto di quattro mesi, tempo che il maestro giudicava «necessario e sufficiente per portare gli allievi ad un grado di capacità tale da renderli abili ad insegnare a loro volta». Il corso si sarebbe svolto a bordo e al termine gli allievi migliori avrebbero sostenuto gli esami al Kodokan. Alla fine di settembre il Marco Polo giunse nel porto di Yokohama e qualche giorno dopo i nostri baldi marinai varcarono la soglia del Kodokan per sostenere gli esami, sul cui esito leggiamo la sconfortata relazione di Novellis al Ministero.

«Pur avendo raggiunto, relativamente al breve periodo di istruzione, un notevole grado di abilità, gli allievi del “M. Polo” hanno ancora molto da apprendere. E ciò appare cosa naturalissima, se si tiene conto dell’unanime opinione del presidente e di tutti gli insegnanti del Kodokan, i quali ritengono essere necessario un periodo di lezioni non inferiore ai tre anni per formare un buon insegnante di Jujitsu. Ritengono gli stessi professori che l’istruttore attualmente arruolato sul “M. Polo”, e che ho anche fatto sottoporre ad esame, pur essendo abbastanza abile, non può insegnare ai suoi allievi più di quanto egli sa: ed essendo personalmente all’altezza di un allievo della classe media, aveva perfettamente ragione nell’asserire che in quattro mesi avrebbe portato gli allievi alla sua altezza, la quale però è ben lungi da quella di un buon insegnante di Jujitsu».

 

Si risolse dunque con una beffa la prima esperienza italiana nella lotta giapponese.

 

Per evitare altre spiacevoli sorprese, il povero Novellis pensò allora di richiedere un insegnante proprio al Kodokan. Il Maestro Kano, «reputato la personalità più competente nell’arte del Jujitsu», consigliò di assumere a bordo due insegnanti, con contratto biennale e facoltà di rinnovo, a L. 1.600 mensili oltre «le spese di viaggio, nel caso di invio degli istruttori in Italia». L’ingaggio di un solo insegnante avrebbe comportato la spesa di L. 900 mensili. Nonostante le insistenze di Novellis, che voleva sapere se il corso sarebbe proseguito in Estremo Oriente o sul Marco Polo, in procinto di rientrare in patria, il ministro non diede alcuna risposta, probabilmente seccato del precedente “contrattempo” e timoroso di gettare al vento una non lieve somma. In dicembre, comunque, Novellis effettuò una visita all’Accademia Navale di Etajima, assistendo agli esami di jujitsu e convincendosi sempre più della notevole importanza di quella disciplina.

 

Il 31 dicembre 1906 giunse a Shanghai l’incrociatore Vesuvio e Novellis cedette il comando delle operazioni in Estremo Oriente al capitano di vascello barone Eugenio Bollati di Saint Pierre. Questi fece imbarcare dal Marco Polo due marinai ormai abili nella lotta giapponese: uno di loro, il timoniere brindisino Luigi Moscardelli, nell’aprile 1907 ottenne a Tokyo «il diploma di abilitazione all’insegnamento». Fu lui, quindi, il primo istruttore italiano della disciplina. Ricevette anche una gratifica di 20 lire dal capitano Bollati «per il metodo efficace e la solerzia messa nell’insegnamento del jujitsu», che il comandante riteneva «un buon esercizio per mantenere l’elasticità dei muscoli», utile anche alla polizia «per avere un mezzo di ottenere ragione di qualche malfattore in caso di colluttazione».

 

Nel settembre 1907 a bordo del Vesuvio si disputarono le gare semestrali imposte dal Ministero della Marina per mantenere in allenamento gli equipaggi. La gara di jujitsu fu vinta dal sottocapo cannoniere Raffaele Piazzolla di Trani sul cannoniere scelto Carlo Oletti (nella foto), diciannovenne torinese allievo di Moscardelli destinato a lasciare un segno profondo nella storia della disciplina in Italia.

 

Nel maggio 1908 a Roma si svolse la prima dimostrazione di jujitsu fatta da italiani. Teatro dell’eccezionale avvenimento fu l’incantevole villa Corsini alle pendici del Gianicolo, alla presenza di un folto pubblico.

Pochi giorni dopo, evidentemente incuriosito, Vittorio Emanuele III volle che l'esibizione fosse ripetuta nei giardini del Quirinale.

 

Bisognerà però aspettare altri 15 anni perché si incominci a parlare di judo, grazie all'opera di Carlo Oletti, che diresse i corsi di judo per l'esercito che erano stati istituiti nel 1920.

Nel primo dopoguerra due eventi avvicinarono Italia e Giappone, rinverdendo vecchi legami di amicizia: il raid aereo Roma-Tokyo, pensato da Gabriele d’Annunzio ma realizzato dal tenente Arturo Ferrarin tra il febbraio e il maggio 1920, e la visita a Roma del principe ereditario Hirohito nel luglio 1921. Gli avvenimenti, largamente reclamizzati dalla stampa, ridestarono l’interesse della gente per l’impero del Sol Levante, per i suoi costumi e per le sue efficacissime tecniche di combattimento. Così, sul finire del 1921, il capo cannoniere di prima classe Carlo Oletti (già imbarcato sull’incrociatore Vesuvio), fu chiamato a dirigere i corsi di jujitsu introdotti alla Scuola Centrale Militare di Educazione Fisica a Roma, di cui era comandante il colonnello Giulio Cravero. La Scuola, istituita con R.D. 20 aprile 1920, ebbe sede nei locali del Tiro a Segno Nazionale alla Farnesina, segnalandosi subito all’attenzione generale.

Da quel momento le iniziative si susseguirono numerose. Si può affermare che non esiste Maestro italiano di judo che, alla lontana, non sia in definitiva discepolo di Oletti.

 

Per diffondere la disciplina, nel 1924 i suoi appassionati cultori costituirono la Federazione Ju-Jitsuista Italiana. Il primo articolo del regolamento tecnico federale riconosceva «quale metodo ufficiale di Jiu-Jitsu, sia per l’insegnamento che per la pratica, il metodo Kano».

 

Malgrado gli sforzi di pochi appassionati, il jujitsu si faceva largo assai lentamente tra il grande pubblico. E a nulla era servita, nel 1927, la trasformazione della FJJI in Federazione Italiana Lotta Giapponese sotto la guida del dinamico Giacinto Puglisi, presidente della S.S. Cristoforo Colombo. Ritenendo che la disciplina potesse fare un salto di qualità con una spettacolare manifestazione, il 7 luglio 1928 il quotidiano L’Impero organizzò con l’A.S. Trastevere una grande riunione di propaganda nella sala della Corporazione della Stampa in viale del Re. La manifestazione ebbe un buon successo grazie a due presenze non previste: la partecipazione dell’esperto judoka nipponico Mata-Katsu Mori, che si trovava a Roma in veste di pedagogo presso la famiglia del poeta Shimoi, e – soprattutto – l’intervento del Maestro Kano. Questi, venuto a conoscenza dell’iniziativa mentre era a Parigi, non volle mancare all’appuntamento.

Fortunatamente per noi, L’Impero comprese il valore di quella presenza eccezionale e mandò senza indugio un suo cronista all’hotel Royal in via XX Settembre, dove Kano alloggiava.

Servendosi dell’illustre poeta Harukichi Shimoi quale interprete, Kano rilasciò un’intervista preziosa, di cui ritengo utile trascrivere un brano significativo.

«Il judo è l’arte di utilizzare col massimo rendimento la forza umana: utilizzare la forza umana vuol dire farle assumere diverse forme e farle raggiungere diversi risultati. Combattere per la gioia di vincere, cercare la robustezza del proprio fisico, coltivare la forza senza perdere nulla in scienza e in intelligenza, migliorare l’uomo rispetto alla vita sociale: ecco i fini che deve avere uno sport che vuole rendersi utile nella vita di una razza e di una nazione. Ed ecco ciò che si propone il Judò, il quale non ha solo lo scopo di educare il corpo, ma vuole anche plasmare moralmente e intellettualmente l’individuo per formarne un ottimo cittadino [...].

Per questo il Judo in Giappone non viene considerato come un’arte, ma come una cultura, che oltre ad offrire un’utilità immediata con la difesa personale per la vita, rinvigorisce i sentimenti migliori dello sportivo e dell’uomo».

 

Un pubblico numeroso si radunò in Trastevere per assistere a dimostrazioni e combattimenti. La riunione ebbe un «successo lusinghiero», riscuotendo anche il plauso di Kano, che tenne nell’occasione una «conferenza teorico-pratica». Mata-Katsu Mori si trattenne per qualche tempo nella capitale, insegnando jujitsu-judo presso la “Società Ginnastica Roma”.

 

Pochi giorni dopo la manifestazione a Trastevere si svolsero alla SCMEF i primi esami per l’attribuzione della qualifica di Maestro. Quindi, nel giugno 1929, si disputò a Roma il quarto campionato italiano. Ma il trasferimento di Oletti a La Spezia nel 1930, nonostante le manifestazioni caparbiamente organizzate dalla Colombo, raffreddò non poco gli entusiasmi. Nel febbraio 1931, per di più, la FILG venne sciolta e la sua attività inquadrata nella Federazione Atletica Italiana (fondata nel 1902 dal marchese Luigi Monticelli Obizzi), provocando l’inesorabile declino del jujitsu.

 

Tra le pochissime manifestazioni svoltesi in Italia negli anni Trenta dobbiamo ricordare quelle organizzate a Roma dal vicepresidente della FAI e presidente della “S.S. Cristoforo Colombo”, Giacinto Puglisi (già presidente della FILG). La più importante fu la Coppa Puglisi, istituita nel marzo 1931 e replicata l’anno seguente. Inoltre, per celebrare il 25° e il 26° anniversario della gloriosa società, vennero inserite dimostrazioni di lotta giapponese nel programma dei festeggiamenti. Tutto finì quando Puglisi lasciò la presidenza della “Colombo” nel dicembre 1932.

 

Nel novembre 1933, intanto, la FAI aveva cambiato il nome in Federazione Italiana Atletica Pesante.

 

 

Passarono quasi inosservati il temporaneo ritorno a Roma di Oletti (1933-36), che riprese l’insegnamento alla “Colombo”, e persino il secondo viaggio in Italia di Kano, recatosi a Milano nel settembre 1936 per ringraziare il conte Alberto Bonacossa (membro del Comitato esecutivo del CIO) dell’appoggio italiano alla candidatura di Tokyo per l’Olimpiade del 1940.

 

Nel luglio 1941 il dott. Giovanni Valente veniva nominato presidente della FIAP; a lui si deve la rinascita della lotta giapponese in Italia: il 14 giugno 1942, infatti, inaugurò alla Scuola di Polizia di Caserta il 1° Corso allenatori di judo, diretto dal maestro Francesco Cao, che aveva abitato a lungo in Giappone, ottenendovi la cintura nera. Gli atleti selezionati agli esami del 30 luglio presero parte al Corso di perfezionamento che si tenne in settembre alla Scuola di Polizia in via Guido Reni a Roma.

Gli appunti di Cao sulle lezioni impartite agli allievi allenatori, pubblicati nel 1943 dal Ministero dell'Interno, non parlavano più di jujitsu, ma di judo. E indubbiamente nell'opuscolo si riscontava una chiara conoscenza dello "stile Kodokan", persino nell'uso dei termini giapponesi appropriati. Cao descrisse con minuzia il «saluto», le «posizioni», gli «spostamenti», gli «squilibri», le «cadute», suddividendo le tecniche secondo lo schema ancora oggi adottato. Il "vero" judo faceva quindi capolino in Italia proprio nel momento più tragico della nostra storia recente.

 

Le drammatiche vicende della seconda guerra mondiale arrestarono nuovamente il cammino del judo italiano.

 

Solo nel 1947 si ebbe una ripresa dell’attività con la nomina di una commissione tecnica presieduta da Alfonso Castelli, segretario generale della Federazione Italiana Atletica Pesante (già FAI). Il primo campionato nazionale del dopoguerra si disputò a Lanciano nel 1948.

Il III Congresso della FIAP, tenuto a Genova il 16 e 17 ottobre 1948, approvò il nuovo statuto federale, che contemplava tra gli organi centrali il Gruppo Autonomo Lotta Giapponese (trasformato poi in Gruppo Autonomo Judo nel 1951). Sciolta la commissione tecnica, l’assemblea del GALG svoltasi a Roma il 14 novembre elesse presidente Aldo Torti e segretario Arnaldo Santarelli. Rintracciato dall’ex allievo Betti Berutto ad Angera, sul lago Maggiore, il 18 gennaio 1949 Oletti accettò la presidenza onoraria.

 

In occasione dell'Olimpiade del 1948, per iniziativa del Budokwai di Londra, fu convocata una conferenza internazionale presso il New Imperial College a South Kensington. Si decise la costituzione dell’Unione Europea di Judo, di cui fu eletto presidente l’inglese Trevor P. Legget, l’unico non giapponese graduato 5° dan. Il 29 ottobre 1949 si riunì a Bloemendaal, in Olanda, il II Congresso dell’UEJ, che approvò lo statuto e il regolamento tecnico, ripreso da quello del Kodokan. Torti ne divenne presidente, Castelli segretario e la sede venne trasferita a Roma. «Era la prima Federazione internazionale – anche se modesta – presieduta da un italiano e con sede in Italia, dopo la guerra» (A. CASTELLI). Davvero una grande soddisfazione dopo tanti momenti bui.

Il IV Congresso dell’UEJ si tenne a Londra il 2 luglio 1951 e diede vita alla Federazione Internazionale di Judo, che elesse Torti presidente e Castelli segretario. Nel settembre 1952, al congresso di Zurigo, la presidenza passò a Risei Kano e la sede si trasferì a Tokyo, ma Torti fu posto a capo della ricostituita UEJ. Il primo campionato europeo si disputò a Parigi nel 1951, il primo mondiale a Tokyo nel 1956.

Nel 1953 venne nel nostro paese il Maestro Noritomo Ken Otani, allora 5° dan (seguito nel 1956 da Tadashi Koikè), che contribuì in maniera decisiva allo sviluppo del judo in Italia.

Il judo maschile è stato incluso nel programma olimpico provvisoriamente nel 1964, definitivamente nel 1972; quello femminile provvisoriamente nel 1988 e definitivamente nel 1992.

 

Particolare merito spetta, per la divulgazione in Italia del judo e della sua organizzazione federale, dapprima al Maestro Benemerito (onorificenza questa rilasciata dalla Federazione Italiana solo a poche persone) Tommaso Betti Berutto, autore del testo di riferimento per intere generazioni di jūdōka italiani "Da cintura bianca a cintura nera", e all'Avv. Augusto Ceracchini, pioniere della disciplina, per cinque volte campione d'Italia, istitutore dell'Accademia Nazionale Italiana Judo, ente predisposto alla formazione degli insegnanti tecnici, negli anni '70.

 

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